mercoledì 12 dicembre 2012

Figure della speranza#2/Ancora l’amabile papa B. XVI: la nascita di Gesù


Nella lista delle sette meraviglie del mondo antico (lista compilata da vari autori a cominciare forse da Antipatro di Sidone, 170-100 a. C.), una delle più celebrate era il Tempio dedicato alla dea Artemide a Efeso (nella Lidia, oggi in Turchia), costruito intorno al 560 a. C., nel quale si trovava, ovviamente, una statua della dea.
Benché abbia i tratti delle arcaiche divinità degli animali selvatici e della caccia, assimila anche tratti di altre divinità. Nell’Artemide efesia troviamo assimilati caratteri di una arcaica signora asiatica della fecondità femminile e il suo simulacro intagliato, che la leggenda voleva caduto dal cielo, la rappresentava con il petto ricoperto da numerose file di ”mammelle” per cui era detta polýmastos in Grecia e multimammia nell’ambito italico, ove era anche identificata con Diana Nemorense. Le molte repliche della statua, eseguite in varie località e tempi diversi, hanno conservato la caratteristica presenza del grappolo di “seni”. A ben guardare, il petto scolpito mostra mammelle nessuna delle quali ha un capezzolo o un’aureola, per cui sono tutti seni, come è stato detto, “ciechi”. Da questo fatto è scaturita una diversa interpretazione, basata su elementi del culto: si sa che il sacerdote della dea doveva essere un eunuco; quindi, per poterla servire, doveva castrarsi; successivamente, al posto dei sacerdoti venivano castrati dei tori e i loro grossi testicoli, conservati in oli profumati, venivano appesi sul petto della statua lignea in occasione delle feste efesie.
Se i seni vistosi e/o numerosi sono un attributo femminile ben evidente nelle rappresentazioni delle veneri arcaiche, è interessante il fatto che il petto dell’Artemide efesia venisse ricoperto coi testicoli dei tori affinché gli spermatozoi in essi contenuti potessero, nella magia del rito, fecondarla, consentendo così ad Artemide di svolgere la sua funzione di madre pur restando vergine. Magia doppia, dunque: fecondazione operata dai testicoli dei tori nel contatto con la statua e dalla statua (potenza del simulacro!) alla dea-Terra-Madre. In un contesto culturale che sentiva la terra come madre e dea, e considerava il maschio come un accessorio del processo riproduttivo, la funzione materna che doveva assicurare la ricchezza dei raccolti e la fertilità, animale e umana, risultava più coerente con la verginità che col ruolo di sposa, per cui possiamo concluderne che la contaminazione delle due figure divine con la trasformazione della virginea Artemide in una Grande Madre è meno bizzarra di quel che in un primo momento potrebbe apparire ai nostri occhi. E non va dimenticato (lo stesso Socrate ce lo ricorda nel Teeteto) che Artemide, la dea la più lontana dalla sfera del matrimonio e del sesso, era quella che proteggeva i parti, veniva invocata dalle partorienti e rivestiva il ruolo archetipico della levatrice.

Una tradizione vuole che Maria, la madre di Gesù, avrebbe seguito ad Efeso Giovanni evangelista è lì avrebbe passato i suoi ultimi anni, in un luogo quasi già “preparato” a conciliare verginità e maternità. Il culto mariano avrebbe poi soppiantato quello della dea madre e la Vergine Maria oscurato le dee madri precedenti, venendo poi fissati come dogmi sia la nascita verginale di Gesù sia la verginità perpetua di Maria (senza cioè altri figli e rimanendo vergine prima, durante e dopo il parto, II Concilio di Costantinopoli del 553 dell’era corrente, per non dire anche del dogma della immacolata concezione, 1854, e di quello dell’assunzione, 1950).

Tutto questo per arrivare all’ultimo volume della trilogia che papa B. XVI ha dedicato a Gesù: L’infanzia di Gesù, Roma, Rizzoli-LEV, 2012. Riprendendo il racconto evangelico sulla nascita di Gesà dalla Vergine Maria che lo avrebbe concepito per opera dello Spirito papa Ratzinger si domanda: «Questo, allora, è vero? O forse sono state applicate alle figure di Gesù e di sua Madre delle idee archetipiche?» Il parto verginale e la resurrezione sono, continua il papa, interventi diretti di Dio sulla materia, a cui tutto appartiene, quindi anche la materia, pur se questi interventi sono uno scandalo per lo spirito moderno. «Ma Egli possiede questo potere e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù Cristo ha inaugurato una nuova creazione» (p. 69).
Viene così, di fatto, riaperto un dibattito sulla natura del miracolo in generale; su questo in particolare penso vadano fatte due osservazioni. Di fronte a un fatto inspiegabile di cui si abbia certezza (come, ad es. una guarigione “inspiegabile”) la mentalità razionale tecnico-scientifica cerca di trovare nessi causali che possano dare, ora o poi, una spiegazione dell’evento ”misterioso”, mentre la mentalità “magica” fa appello a eventi di natura trascendente il mondo dell’esperienza e al di là delle ordinarie possibilità di verifica: si tratta, dunque, di decidere quale paradigma di indagine e quale criterio di verità si voglia assumere. Tra le due la scelta razionale mette in conto di non avere sùbito risposte, ma evita di utilizzare la non-risposta attuale per legittimare il passaggio da un paradigma all’altro.
La seconda osservazione si riferisce, poi, a eventi — come nel nostro caso — di cui manca un vero riscontro fattuale: non ci troviamo di fronte alla gravidanza di una donna segregata, di cui possiamo avere ragionevole certezza che non abbia avuto occasione di incontrare seme maschile (così come non ci sono stati testimoni della “rianimazione” del crocefisso morto, ma solo racconti da parte di chi avrebbe trovato il sepolcro vuoto). Pur di poter introdurre nell’economia della salvezza elementi che «sono pietre di paragone per la fede» e segnali di speranza ritenuti indispensabili per proporre una determinata dottrina (natura spirituale dell’incarnazione — che si avvale del contributo di un corpo femminile — grande madre! —, ma mette da parte quello maschile; promessa della sconfitta della morte) si ricorre a una giustificazione miracolosa per poter asserire che determinati racconti sono racconti storicamente “veritieri”: non si cerca una spiegazione di un evento “miracoloso”, ma — a rovescio — si usa il miracolo per poter asserire un fatto!

Ancora una volta, la costante preoccupazione di affermare la specificità del cristianesimo e la sua diversità da tutti gli altri fenomeni della storia religiosa dell’umanità si rivela una modalità molto discutibile al fine di incontrare il mondo moderno e procedere alla cosiddetta evangelizzazione dei non-credenti, tentando il dialogo col mondo laico. L’integrazione della storia dei fatti cristiani nella più ampia fenomenologia e storia delle religioni, che consente di lavorare sugli archetipi e sugli universali presenti almeno nell’inconscio di tutti noi, è invece la strada che una moderna ermeneutica ha proposto e cominciato a percorrere. Ciò che potrebbe essere visto come coerente in una rappresentazione simbolico-poetica propria di una diversa mentalità (verginità come purezza e diponibilità, simbolismi della maternità; morte come tappa iniziatica e ritorno alla latenza, etc.), finisce per diventare un cibo indigeribile quando ci si accanisce a portarlo sul piano dei “fatti”. Così, nello scontro di paradigmi, il più debole, nel mondo occidentale avanzato, non può che risultare quello di una fede che si ponga alternativa alla razionalità, col danno non solo per la Chiesa, ma per tutti, di portare sempre più avanti il processo di disincanto del mondo.



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